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domenica 25 novembre 2012

Tutto Sicilia: Cave di Cusa

Tutto Sicilia: Cave di Cusa: Situate non troppo lontano da Selinunte, le cave erano le prime fornitrici di materiale per i templi della città e, più precisamente, data...

Chiesa Maria Santissima Odigitria


Prospiciente la piazza principale di Piana degli Albanesi si trova la chiesa di Maria Santissima Odigitria, edificata nel 1607 e ricostruita ed ampliata verso la metà del XVII secolo. Nel 1643, infatti, su progetto di Pietro Novelli e sotto la direzione dell’insigne artista venivano iniziati i lavori di ampliamento della chiesa, la cui slanciata e maestosa cupola ottagonale domina con la sua elegante mole l’abitato della cittadina.
 
La chiesa è l’opera architettonica più completa che può attribuirsi all’architetto e pittore Pietro Novelli, di cui porta la più squisita impronta di una spiccata maturità tecnica ed artistica. Nell’abside centrale è custodito un imponente si­mulacro, attribuito al Serpotta, che fa da base e da cornice alla venerata icona di Maria Santissima Odigitria, che la tradizione vuole sia stata portata in Sicilia dai profughi albanesi provenienti dalla penisola bal­canica. Nel 1733 alla chiesa furono addossate le fabbriche del Collegio di Maria. Nella chiesa vengono custoditi quadri bizantini di particolare valore artistico, quali la "Dor-mizione della Madre di Dio" e il dittico, raro come contenuto teologico, della Vergine insieme con San Giu­seppe.
Le navate laterali sono ornate da altari di stile barocco impreziositi da marmi misti. Un dipinto raffigurante l’Arcangelo Michele, del 1700, ed una Crocifissione in legno intagliato, dipinto da Spiridione Marino, sono da annoverare tra le opere di pregio di questa chiesa che, tra l’altro, in tre altari presenta gli stemmi di alcune famiglie patrizie albanesi, probabili donatori degli stessi altari, quali gli Schirò, i Matranga e gli Schiadà.
Le armi degli Schirò raffigurano una torre merlata affiancata da due leoni rampanti. Quelle dei Matranga una mano che impugna una spada fronteggiata da uno scudo ornato, in basso da un drago e in alto da una stella. Lo stemma degli Schiadà ha due campi diagonali occupati da un uccello e da un cane.

SPAGHETTI MEDITERRANEI

Ingredienti: Dosi per 2: 160 g di spaghetti, 1/2 melanzana, 1/2 peperone, 1 piccola zucchina, 1 spicchio d’aglio, 10 g d’olio d’oliva, 1 cucchiaino raso di capperini sott’aceto, 4 olive verdi snocciolate, 100 g di pomodorini, sale, pepe. 

Istruzioni per la preparazione: LAVATE e asciugate le verdure. Tagliate la melanzana a dadini e metteteli in una ciotola. Cospargete con un cucchiaino di sale fino e mescolate, quindi lasciate riposare per 30 minuti. 
RIDUCETE il peperone a dadini dopo averlo mondato. Eliminate le estremità della zucchina e tagliatela a dadini. 
SCALDATE l’olio in una grande padella e fatevi soffriggere gli spicchi d’aglio sbucciati e tagliati in due. Quando l’aglio è dorato, scartatelo e gettate nella padella le melanzane ben strizzate, i peperoni e le zucchine. 
PROSEGUITE la cottura per qualche minuto a fuoco vivo, scuotendo la padella di tanto in tanto. 
TUFFATE la pasta in abbondante acqua salata. Aggiungete nella padella i pomodorini tagliati in quattro, le olive a pezzetti e i capperini sgocciolati. Salate e pepate e continuate la cottura per altri 5 minuti, scuotendo la padella ogni tanto. 
SCOLATE la pasta e versatela in padella. Fate saltare il tutto oppure mescolate energicamente aiutandovi con due cucchiai e servite subito.

POGGIO COCOLA


Conosciuto nella letteratura archeologica come Poira, dal nome della masseria che si trova a sud del poggio, è ubicato alla sommità del complesso di colli a sud del fiume Simeto.
La dispersione ceramica rinvenuta in superficie testimonia una frequentazione nel Bronzo Antico e nell'età del Ferro ma il periodo meglio attestato è quello arcaico. Già nel 1959 il prof. G. Rizza individuò i resti di un abitato di età greca, identificandolo con Inessa, città indigena menzionata da diversi autori antichi. Su questo centro urbano riferisce in particolare Diodoro Siculo (11,76,3), tramandando che i seguaci di Ierone I di Siracusa, insediati a Catania dal tiranno nel 476 a. C. e fuggiti verso le colline dopo la sua morte, si stanziarono ad Inessa chiamandola Aetna. Il problema topografico di Inessa non può dirsi ancora risolto, infatti né la testimonianza di Tucidide né quelle di Strabone o degli Itinerari di età romana, che pongono Inessa /Aetna a metà strada tra Catania e Centuripe, consentono di andare oltre una generica ubicazione della città nella zona dell'Etna, sul tracciato della via interna Catania-Termini Imerese, moltiplicando le ipotesi di localizzazione (tra le proposte si trovano Civita, S. M. Licodia o il monastero di S. Nicola all'Arena presso Nicolosi).
 
Gli scavi effettuati dalla Soprintendenza nell'estate del 1995 non hanno rilevato evidenze chiare né per un muro di epoca greca né per una città greca rinchiusa all'interno, né hanno portato alla luce gli edifici citati dalla fonti (un Tempio di Ercole, un foro), che confermerebbero l'identificazione del centro urbano con Inessa. Attraverso i saggi effettuati dalla Soprintendenza, sono stati rinvenuti resti di muri che presentano lo stesso orientamento, databili tra la fine del VI e li V secolo a. C., e che attestano, appunto, la presenza di una città costruita con regolare impianto urbanistico.
 
Le mura, affioranti sul piano di campagna per un tratto di 30 m. circa ed ipotizzate per tutto il resto, delimiterebbero una vasta area comprendente le alture di P. Cocola e della masseria Poira, distanti in linea d'aria 750 metri circa l'una dall'altra. All'interno delle mura ricade un edificio comprendente tre ambienti, allineati in senso est-ovest, dei quali si conserva meglio quello centrale, con ingresso sul lato sud. Degli ambienti contigui si conservano pochi tratti di mura perimetrali. I materiali raccolti permettono di datare gli ambienti tra il VI e il V secolo a. C. E' l'estensione di questo muro a rimanere incerta: la lettura delle fotografie aeree scattate sopra questa zona hanno indotto lo studioso Dinu Adamesteanu ad identificare un lungo muro che comprende sia Poggio Cocola che la zona attigua alla masseria Poira e alla contrada Mongicene verso il fiume Simeto, mentre lo studioso S. Borzì, nel libro "Sicilia Schiava", connette questo muro con una masseria tardo antica da lui chiamata Nenciana, a causa dei cippi recanti l'iscrizione "SN" presenti lungo il corso del muro. Rimane certa quindi l'ipotesi di un insediamento indigeno ellenizzato limitato all'area, già piuttosto ampia, del Poggio. La fioritura di questo insediamento va certamente messa in rapporto con gli insediamenti di Monte Castellaccio.
 
Nell'area di Poggio Cocola sono ubicati i resti del così detto "Castello della Baronessa di Poira", un complesso di edifici di antica fattura delimitati da mura di cinta, eretti probabilmente su costruzioni di epoca romana. Sulla collina è venuta alla luce (1995) una necropoli ellenistica con tombe di VI/V secolo. Poco lontana si trova la Grotta degli Schiavi, un Eragstulum romano, dove venivano posti gli schiavi alla fine della giornata.

Monte Adranone


Sambuca di Sicilia

distanza da Agrigento km 105; abitanti 6328; altitudine m.364

Sambuca di Sicilia sorge su un colle pianeggiante in prossimità della Riserva Naturale Orientata Monte Genuardo e Santa Maria del Bosco (a nord) e del Lago Arancio (a sud): due autentiche attrazioni per gli amanti della natura e della quiete. Sul monte Adranone, a nord del paese, si trova un sito archeologico di rilevante interesse, i cui reperti sono custoditi nell’ Antiquarium allestito nell’ ex-monastero di S. Caterina. Sebbene il sito archeologico riporta al VI sec. ac. i primi insediamenti, Sambuca di Sicilia sorse in età araba, fondata dall'emiro al-Zabuth che le diede il proprio nome (fino al 1920 il paese si chiamò “Sambuca Zabut”), e il tipico assetto urbano islamico. Il centro storico, ricco di caratteristici quartieri “saraceni” e pregevoli chiese ed edifici, è sede di importanti istituzioni culturali e museali. La Festa della Madonna dell'Udienza e La Sagra del frumento costituiscono le manifestazioni più tradizionali e caratteristiche del luogo.

Cosa vedere
 : R.N.O. Monte Genuardo e S.Maria del BoscoLago Arancio; zona archeologica diMonte AdranoneVicoli Saraceni, ex Monastero di Santa Caterina (Antiquarium, Mostra permanente delle sculture tessili di Sylvie Clavel), Chiesa di S. Calogero (Istituzione Gianbecchina), Chiesa del Carmine.
Cosa gustare: prodotti da forno e caseari, vini DOC.

LA ZISA

La Zisa, edificio del XII secolo, risale al periodo della dominazione normanna in Sicilia. La sua costruzione fu iniziata sotto il regno di Guglielmo I e portata a compimento sotto quello di Guglielmo II. La Zisa delle origini era una residenza estiva creata nelle vicinanze della città per il riposo e lo svago del sovrano. I Normanni, subentrati agli Arabi nella dominazione dell'Isola, furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori. I sovrani vollero residenze ricche e fastose come quelle degli emiri ed organizzarono la vita di corte su modello di quella araba, adottandone anche il cerimoniale ed i costumi. Fu così che la Zisa, come tutte le altre residenze reali, venne realizzata alla maniera "araba " da maestranze di estrazione musulmana, guardando a modelli dell'edilizia palazziale dell'Africa settentrionale e dell'Egitto, a conferma dei forti legami che la Sicilia continuò ad avere, in quel periodo, con il mondo culturale islamico del bacino del Mediterraneo.
Il nome Zisa deriva probabilmente da al-Aziz (che in lingua araba significa nobile, glorioso, magnifico). Il vocabolo (in caratteri nashi), rinvenuto nella fascia epigrafica del vestibolo dell'edificio, denota la caratteristica d'uso islamico di contraddistinguere con un appellativo gli edifici civili più importanti.
Il parco del Genoardo
La Zisa delle origini si trovava inserita nel grande parco reale di caccia del Genoard (paradiso della terra), che si estendeva ad occidente della città. Tutti gli edifici reali ricadenti in esso (oltre alla Zisa, il palazzo dell'Uscibene ed i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana) erano circondati da splendidi giardini, irrigati ed abbelliti da fontane e grandi vasche, utilizzate anche come peschiere.

Le trasformazioni nei secoli
La Zisa delle origini subì nei secoli numerose trasformazioni. Nel Trecento, tra le altre modifiche apportate, fu realizzata una merlatura, distruggendo parte dell'iscrizione in lingua araba (a caratteri cufici) che faceva da coronamento all'edificio. Radicali furono le trasformazioni seicentesche intervenute quando il palazzo, in pessime condizioni, venne rilevato da Don Giovanni di Sandoval, a cui risale lo stemma marmoreo con i due leoni, oggi posto sopra il fornice di ingresso. Per le mutate esigenze residenziali dei nuovi propri etari furono modificati alcuni ambienti interni, soprattutto all'ultima elevazione, furono realizzati nuovi vani sul tetto a terrazza, fu costruito un grande scalone e vennero modificate le finestre sui prospetti esterni. Nel 1808, con la morte dell'ultimo Sandoval, la Zisa passò ai Notarbartolo, principi di Sciara, che la utilizzarono per usi residenziali fino agli anni '50, quando la Regione Siciliana la espropriò. Il restauro della fine degli anni '70 ed '80 ha restituito la Zisa alla pubblica fruizione. Nella parte dell'ala Nord crollata nel 1971 si è proceduto alla ricostruzione delle volumetrie originarie, adoperando, per una piena riconoscibilità dell'intervento, cemento e mattoni in cotto, materiali differenti dalla originaria pietra arenaria.

L'esposizione
Nelle sale sono esposti alcuni significativi manufatti di matrice artistica islamica provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo. Tra questi sono di particolare rilevanza le eleganti musciarabia (dall'arabo masrabiyya), paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di loro a formare, come merletti, disegni e motivi ornamentali raffinati e leggeri) e gli utensili di uso comune o talvolta di arredo (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati prevalentemente in ottone con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine sottili) in oro e argento.


Approfondimenti
Al Aziz (lo splendido, il nobile)
La costruzione venne commissionata dal re normanno Guglielmo I ad architetti arabi di cui apprezzava lo stile ed il gusto e nasce come "casa di villeggiatura" nella quale sovrane, dilettandosi nell' attività della caco la, poteva riprendersi dalle preoccupazioni del regno.
La dimora era immersa nel verde e Invitava ali ozio con lo sciabordio delle acque che dalla sala della fontana scorrevano alla peschiera e poi st riversavano nel parco, favorendo li rigoglio dei palmizi e delle piante, alcune delle quali emanavano un intenso profumo. La sala della fontana, con le sue decorazioni simboliche richiamava il sovrano a quelle che erano le sue responsabilità, ricordandogli che il suo potere discendeva direttamente da Dio e non doveva perciò essere trascurato.
Le vicissitudini del Castello sono state varie e non sempre felici e la sua costituzione architettonica ha risentito del trascorrere dei secoli e dello stato di abbandono in cui è stato. Nel 1951 divenne demanio regionale ma per essere preso in considerazione Al Àziz ha dovuto lanciare un ulteriore "grido di dolore" con il crollo di un'ala nel 1971; solo cosi si è dato il via al restauro. Il lifting non è ancora completalo, ma noi del quartiere speriamo vivamente che esso ritorni ad essere "il paradiso terrestre che si apre allo sguardo". 

Le origini del quartiere
In origine, il territorio del quartiere faceva parte del "Parco normanno", luogo di caccia e di villeggiatura dei sovrani e si estendeva da fuori le mura fino a sotto i colli. L'aria salubre, la ricchezza di acque (quelle del torrente Gabriele), la rigogliosa vegetazione e lo stupendo Castello che lo caratterizzava dandogli il nome, ne avevano fatto un luogo rinomato da salvaguardare. Per questo motivo, quando Palermo cominciò ad estendersi fuori le mura, la Zisa resta ancora "zona verde" (campagna). La prima delibera comunale che la cita è quella del 1860 che la definisce "territorio suburbano n. 2" unitamente all'Uditore.
Solo nella delibera comunale del 1889, che da un nuovo assetto alla città di Palermo il nostro quartiere appare come "Sezione urbana n, 6" della città.
Da allora, è stato un continuo espandersi e popolarsi, talvolta con uno sviluppo edilizio poco razionale, di questo quartiere che, a ridosso del vecchio centro storico, è stato delimitato dalla nuova circonvallazione che ne costituisce il confine, Iato monte, e lo separa dagli altri quartieri, cui in origine era unito.
Oggi, amministrativamente, il quartiere fa parte (insieme con i quartieri di Noce, Uditore, Passo di Rigano e Borgo Nuovo) della quinta circoscrizione del Comune di Palermo.
Vi possiamo distinguere tre diverse realtà urbanistiche: Zisa Olivuzza, dal palazzo di Giustizia fino a Piazza Principe di Camporeale, Zisa Ingastone, dal Corso Alberto Amedeo (subito fuori le mura) fino a Piazza Zisa (ai piedi del Castello), Zisa Quattro Camere, dalle spalle del Castello della Zisa fino ai Viale della Regione siciliana, anche se tale distinzione non ha nessun supporto formale.
Dal punto di vista sociologico-culturale, rappresenta ancora oggi un punto di unione tra antico e moderno, tra vecchia e nuova Palermo, tra la civiltà dei venditori ambulanti che chiamano i clienti per nome e quella dei grandi discount massificanti.

Itinerario
Il suo cuore è il castello della Zisa (dall'arabo Al Àziz) ma vi sono altri monumenti pregevoli. Per la maggior parte, essi ruotano attorno a Piazza Principe di Camporeale ed alla contigua Piazza Sacro Cuore e sono riconducibili alla genesi storica del quartiere: zona di villeggiatura dei signori che vi si facevano costruire ville ed eleganti dimore.
Cominciamo il nostro tour dallo sbocco di Via dei Normanni e procediamo verso destra in senso antiorario. Subito troviamo l'Istituto Sacro Cuore, che da il nome alla Piazza, e la cui sede era, originariamente, la villa del Duca di Terranova. 
Seguono i pietosi ruderi di quella che era, una volta, la Villa Tamaio e che ora, in quel che resta delle scuderie, ospita magazzini.
Procedendo, possiamo ammirare la bella facciata, in stile veneziano, di un palazzo (oggi proprietà della famiglia Maniscalco Basile) la cui storia si interseca con quella della borghesia imprenditoriale cittadina e che vanta tra i suoi illustri ospiti lo Zar Nicola I con la sua famiglia.
Alla palazzina si appoggia Palazzo Florio Wirz, in stile neogotico ed in stato di completo abbandono. Segue una palazzina ottocentesca sede dell'Ordine degli Architetti. Proseguendo, si entra in Piazza Principe di Camporeale, ornata, ai due capi, da due busti celebrativi: uno dedicato a Francesco Paolo Giaccio e l'altro ad Ignazio Florio.
Ancora sulla destra, si apre la Via Oberdan che fa da quinta scenografica al Villino Florio all'Olivuzza che si vede sullo sfondo e che, per la sua storia, merita una trattazione particolare. Attraversando la via, abbiamo la sede delle suore "Figlio di San Giuseppe": un palazzo in stile composito, che vanta una bella apertura, sulla Piazza Principe di Camporeale, in stile neogotico.
Si incontra, quindi, il palazzo del Principe di Camporeale, oggi sede del Commissario dello Stato per la Regione siciliana e, continuando, la palazzina Beccadelli Bologna, che ospita un plesso scolastico. Chiude questo lato della piazza la palazzina Baucina Fardella, sede palermitana dell'UNITALSI (associazione di volontariato che si occupa di accompagnare i pellegrini a Lourdes).
Attraversando la piazza, sempre in senso antiorario, lo stile architettonico perde identità fra le nuove costruzioni e le antiche abitazioni, la cui storia non è ricostruibile. Attraverso un varco in una di queste nuove costruzioni (la Via Paolo Gili) si raggiungono i vecchi magazzini Ducrot, oggi, dopo anni di completo abbandono, recuperati come i ''Cantieri Culturali della Zisa" e da questi, si arriva al monumento-principe del nostro quartiere: il Castello della Zisa, passando davanti alla Cappella della Santissima Trinità, di origine bizantina. Scendendo verso la Via Zisa, si incontra la cinquecentesca Chiesa dell'Annunziata, oggi Parrocchia di Santo Stefano.
Per completare il tour non può mancare, comunque, una visita alle catacombe di Corso Alberto Amedeo.

VILLA DEL CASALE



Villa romana del IV secolo dopo Cristo.
Zona di grande interesse archeologico, Piazza Armerina è da diverso tempo sede di numerosi scavi.
Uno dei ritrovamenti più importanti fino ad oggi effettuati è quello della famosa Villa del Casale.


Con una superficie di oltre 3500 metri quadrati, la Villa era la residenza di caccia di Massimiliano Erculeo, collega di Diocleziano nella gestione dell'impero romano.

Essa rappresenta oggi una straordinaria testimonianza della vita in epoca romana grazie ai suoi pavimenti mosaicati, famosi in tutto il mondo.

La realizzazione di tali mosaici è oggi attribuita a maestri africani, in quanto inventori di questa arte che diffusero nei paesi con i quali entrarono in contatto. L'importanza della Villa a carattere mondiale è dovuta all'impeccabile stato di conservazione dei mosaici, ritenuti inoltre i più estesi e affascinanti mai realizzati in epoca romana.


Questa grande importanza è anche dovuta alle scene rappresentate nei suddetti lavori, che risultano essere prova di grande tecnica vista la veridicità dei soggetti e dei colori utilizzati.
In queste opere si possono ammirare scene tratte da lavori di Omero, scene mitologiche e anche immagini di vita quotidiana, sempre realizzate in maniera molto vivida.

La Villa presenta quattro raggruppamenti principali identificabili in: ingresso principale e quartiere termale; peristilio con soggiorno e foresteria; ambienti privati e basilica; triclinio e cortile ellittico. Essi risultano sistemati a terrazza per adeguarsi alle caratteristiche del terreno su cui si ergono.

All'esterno sono stati rinvenuti due acquedotti usati per l'approvvigionamento delle fontane, dei servizi e del quartiere termale.

Molti studiosi da tempo sostengono che una costruzione di questo genere non poteva essere completamente isolata, ma doveva comprendere altre costruzioni marginali dedite alla risoluzione di tutte le esigenze di una villa imperiale. Per questo motivo sono ora in corso diverse campagne di scavi.

martedì 13 novembre 2012

Cave di Cusa


Situate non troppo lontano da Selinunte, le cave erano le prime fornitrici di materiale per i templi della città e, più precisamente, data la grandezza dei blocchi estratti, per il tempio G. La pietra, un tufo compatto e resistente particolarmente adatto alla costruzione, venne estratta per più di 150 anni, a partire dalla prima metà del VI sec. a.C.
L'interruzione dei lavori, dovuta alla guerra che Selinunte dovette affrontare contro l'ira cartaginese (con la conseguente distruzione della città), fu improvvisa. Le cave vennero abbandonate nell'arco di pochissimo tempo e così le abitazioni di coloro che vi lavoravano. E questa una delle caratteristiche peculiari del luogo ove giacciono ancora, metà scavati, gli enormi rocchi destinati ai templi. Il considerevole numero di questi blocchi permette di stabilire che le persone impegnate nelle cave erano circa 150. La tecnica di estrazione era lunga e complessa. Dopo aver tracciato la circonferenza o il perimetro del pezzo da estrarre, si ricavava un doppio solco esterno, profondo circa mezzo metro, per permettere agli scalpellini di lavorare più agevolmente (il cosiddetto canale di frantumazione). Il blocco veniva lavorato in loco e direttamente scavato nella roccia. Gli utensili impiegati erano picconi, seghe di bronzo e cunei. Per spaccare gli strati più duri venivano utilizzati cunei di legno inseriti in fori e successivamente bagnati perchè gonfiandosi, rompessero la pietra. Una volta terminato, il blocco veniva staccato dal fondo, estratto tramite argani (i blocchi più leggeri) o fatto scivolare su piani inclinati (in questo caso la parte anteriore dello scavo veniva rimossa), I profondi solchi a forma di U che si possono notare in alcuni blocchi squadrati servivano proprio a far passare la corda per sollevarli (se ne vedono anche ad Agrigento, nel tempio di Giove). Molti blocchi presentano invece buchi di forma quadrata alle due estemità. Qui venivano fissati dei perni per facilitare lo spostamento e [a messa in posa. Per il trasporto si utilizzavano armature lignee dotate di ruote e trainate da buoi e schiavi. Una pista larga e rocciosa congiungeva le cave a Selinunte, distante 12 km.
Il nome attuale delle cave deriva da quello del proprietario del terreno su cui vennero scoperte.
VISITA
Le cave si trovano a 3 km da Campobello di Mazara, verso sud, Seguire le indicazioni.
Grandi massi cilindrici sparsi sul terreno o ancora da estrarre (se ne contano più di sessanta) caratterizzano questa cava lunga 1.8 km che si estende da est ad ovest lungo un costone.
Alcuni rocchi completamente scavati, pronti al trasporto, altri appena accennati, con quel solco esterno che rendeva più facile il lavoro degli scalpellini caratterizzano il primo tratto della cava. Verso la fine, invece, si può vedere un capitello rozzo. E un masso cilindrico, con la base quadrata che nella parte superiore presenta dodici cunei che dovevano servire a ricavare l'echino. Le fenditure mostrano ancora il segno delle picconature. A Selinunte, alle rovine del tempio A, si possono vedere esempi di capitello finito, formato da una base quadrata che serviva da appoggio alla trabeazione, dall'echino e dalla parte terminale della colonna.

Grotte della Gurfa



Le Grotte della Gurfa rappresentano un vero e proprio esempio di architettura rupestre. Sono costituite da sei ambienti, i quali sono scavati in una rupe di arenaria rossa. La datazione, pur essendo incerta, si colloca nel periodo compreso fra il 2.500 a. C. o il 1.600 e l’età del bronzo.
I due piani delle grotte della Gurfa sono collegati da una stanza piuttosto ampia, che viene definita grotta a campana o thòlos. Il termine “Gurfa” in arabo indica una camera.
Ma qual’era la funzione dell’intero complesso architettonico? Molto probabilmente si trattava di una specie di tempio.
Vi è anche una leggenda collegata alle grotte della Gurfa. Il re cretese Minosse, arrivato in Sicilia per catturare Dedalo, venne ucciso dal re sicano Cocalo e poi venne sepolto nel territorio di Camico, che si estendeva fino al luogo, in cui attualmente si trovano le grotte.
Parecchio tempo dopo Terone, il tiranno di Agrigento, distrusse la tomba, per restituire a Creta i resti di Minosse. C’è chi individua la tomba di Minosse proprio nelle grotte della Gurfa, nell’attuale territorio di Alia.
grotte-della-gurfa-alia

Riserva naturale Capo Rama


La Riserva Naturale Regionale Orientata Capo Rama tutela l'omonimo promontorio e le aree costiere limitrofe, per un’estensione complessiva di 22,08 ettari, nel Comune di Terrasini (PA).
Riserva Naturale Capo Rama       Riserva Capo Rama 

Descrizione

La riserva sorge su un’alta falesia carbonatica di straordinario interesse geologico ed è racchiusa a Sud dal monte Palmeto e a Nord dal mar Tirreno. La costa, alta e frastagliata, ricca di insenature e promontori, presenta numerose grotte modellate nel tempo dalla furia delle onde.
La Riserva è caratterizzata da una vegetazione naturale, arbustiva ed erbacea, costituita da specie adattate alle particolari condizioni di insolazione aridità. La scogliera è colonizzata da associazioni vegetali alofile. Sul pianoro che si sviluppa a ridosso della linea di costa domina la macchia a Palma nana. La macchia è formata anche da esemplari di olivastro, lentisco, camedrio femmina, Tè siciliano (Prasium majus) e varie specie di asparagi. Nelle zone più interne prevale l’associazione a olivastro, Euforbia fruticosa, palma nana, efedra, asparago selvatico, quercia spinosa.
La fauna è quella tipica della macchia e delle coste rocciose, ricca di avifauna: nel folto della macchia nidificano la cappellaccia e l'occhiocotto, mentre le scogliere sono occupate da gabbiano reale, gheppio, passero solitario, falco pellegrino. In primavera e in autunno, sulla scogliera si avvista avifauna migratoria: aironi cenerini, garzette, cormorani.
Riserva Naturale Capo Rama

Informazioni per la visita

Gestione:
WWF Italia
Via delle Rimembranze, 18
90049 Terrasini (PA)