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lunedì 1 aprile 2013

le saline

le saline di marsala in provincia di trapani .
paesaggio stupendo io abitando a marsala lo osservo molto spesso e ogni sera al tramonto ne rimango affascinata!!

La baronessa di Carini

 

La leggenda narra la morte di Donna Laura Lanza che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini. Ben presto, delusa dalla vita matrimoniale e dai continui abbandoni del marito impegnato nella cura della sua proprietà, la baronessa si innamora di Ludovico Vernagallo, e ne diventa l'amante. Scoperta dal marito e dal padre, Laura viene uccisa insieme a Ludovico. La stanza dell'assassinio, situata nell'ala ovest del castello, è crollata completamente e si narra che su una parete vi fosse l'impronta insanguinata della baronessa.
Adesso tutto ciò che resta della leggenda sono: il fantasma di Laura, che si dice si aggiri ancora senza pace nel castello e un enigma particolare... in una delle metope del torrione principale, proprio in direzione del luogo ove sorgeva l'ala ovest, è scolpita... una manina!!!

Fuori dalla leggenda si può affermare che Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua - Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciano i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo. All'età' di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio. Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico. Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l'amicizia fra le famiglie. Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia.
A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.
Nella realtà, esistono dei documenti dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia, informa, all'epoca, la Corte di Spagna che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Questo documento avvalora l'atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre di Carini insieme a quello di Ludovico Vernagallo. Non esiste, invece, alcuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Vernagallo ci fosse qualcosa di diverso dall'amicizia. Quindi Cesare Lanza di Trabia, complice il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura e fece uccidere da un sicario Ludovico Vernagallo.
La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.
Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.
L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563. Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta. La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così: "sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini". Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il "caso" della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico.
Il Salomone Marino, nel secolo scorso, raccolse da un esaltatore questi versi in cui si fa rivivere l’efferatezza del delitto:
"Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
- Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu."
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, "l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia". Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.

La leggenda del "vascellazzu"

 


Grazie ai Vespri siciliani Messina e Palermo si liberano dal dominio Angioino chiamando come re della Sicilia, nell’ordine, Pietro III d' Aragona, Giacomo e Federico II d'Aragona.
Prima della pace di Caltabellotta, gli Angioini cercarono di riconquistare le città perdute, soprattutto Messina.
Roberto D'Angiò, per conquistare tale città, mandò il suo esercito a Catona e assediò Reggio Calabria, in modo da bloccare gli aiuti per Messina che al momento era governata da Federico II D'Aragona. La città soffriva una grossa crisi alimentare.
Nicolò Palizzi suggerì di andare da Alberto da Trapani, già considerato Santo per dei grandi prodigi che aveva effettuato.
Il giorno seguente, Federico II e la sua corte si diressero alla Chiesa del Carmine in cui Sant'Alberto celebrava la messa. Egli cominciò a pregare ed alla fine delle sue preghiere una voce dal cielo gli confermò che le sue preghiere erano state esaudite: si videro arrivare tre navi i cui equipaggi scaricarono del grano.
I messinesi si convinsero che le navi fossero state mandate dalla Madonna. L’evento determinò la nascita della tradizione del "vascelluzzo".
Tutti corsero ai piedi del Santo per ringraziarlo, lui li benedì e lì esortò a credere in Dio e nella Madonna della Lettera.
Qualche giorno dopo arrivarono altre quattro navi cariche di vettovaglie.
Roberto d'Angiò capì che non poteva più sconfiggere la città per la fame e si convinse ad arrendersi e stabilì un trattato di pace con Federico II D'Aragona.
La leggenda narra che in quei giorni accadde un altro prodigio: una signora vestita di bianco passeggiava sugli spalti delle mura con lo stendardo di Messina, un francese lanciò una freccia contro di lei ma la freccia ritornò indietro. Anche in questa occasione la Madonna della Lettera difese Messina. Sant'Alberto morì nel 1307.
Quando Federico II fece alloggiare i suoi cavalli nel convento del Carmine, trasformando in stalla la chiesa in cui era il Santo era sepolto, un male misterioso portò alla morte i cavalli ed i soldati. Aprendo la tomba di Sant'Alberto, questi fu trovato in ginocchio per chiedere la punizione per i profanatori.

sabucina

La zona archeologica di Sabucina e' una delle localita' siciliane piu' interessanti. Tale localita' rientra nella provincia di Caltanissetta.

Il centro d'origine greco-sicula si sviluppa nella montagna omonima ed in una posizione di dominio della vallata del fiume Salso.

Il centro indigeno originario ha subito varie fasi di distruzione e di conseguente nuovo sviluppo. Da ricordare, infatti, e' lo sviluppo del nuovo centro avvenuto tra l'ottavo ed il settimo secolo A.C. ed una nuova fase risalente al V secolo A. C. durante la quale la zona subi' l'influenza ellenica. Il centro fu definitivamente abbandonato alla fine del V secolo A. C..

I reperti archeologici presenti nella zona sono innumerevoli, a partire dalla parte denominata "Sabucina Bassa" presente ai piedi della montagna omonima e comprendente tombe a grotticella risalenti alla prima eta' del bronzo.

Una successiva parte della zona raggruppa i resti di un centro indigeno che si e' sviluppato tra il XII ed il X secolo A. C..

Tra gli altri reperti preservati nella zona occorre ricordare, inoltre, quelli riguardanti una capanna-santuario e l'Antiquarium che preserva alcuni reperti delle varie necropoli della zona come il "Sacello di Sabucina" - un modello in terracotta risalente al VI secolo A.C.

Nella zona adiacente il Monte Sabucina c'e' il Monte Capodarso che offre la possibilita' d'ammirare altri interessanti reperti risalenti ad un abitato preistorico che subi' una successiva fase di ellenizzazione. Tali resti sono un muro di fortificazione, delle necropoli e dei resti in ceramica ed in terracotta, elementi che esemplificano quel che era l'antico centro sicano.
 
 

sabato 30 marzo 2013

La Riserva Naturale di Capo Gallo



 
Capo Gallo è un promontorio roccioso che si specchia nel mare di Palermo, separando i golfi di Mondello e Sferracavallo, frapponendosi a Monte Billiemi a sud e a Monte Pellegrino ad est e costituendo la chiusura naturale del gruppo di monti che delimitano la Conca d'Oro. La loro mole ripara Palermo e le borgate limitrofe dai fastidiosi venti di scirocco, lasciando solo due accessi al mare: a ponente la 'porta' di Sferracavallo ed a levante quella di Mondello.
Capo Gallo è sovrastato dal monte omonimo, una formazione carsica formatasi nel periodo Mesozoico (225 milioni di anni fa) e nell'Eocene medio (54 e 33,7 milioni di anni fa) che presenta numerose manifestazioni erosive superficiali e parecchie cavità nel sottosuolo o grotte. Il versante settentrionale del monte è quello che mantiene le caratteristiche naturali meglio conservate, mentre quello meridionale si presenta con un suolo pietroso, brullo e steppico. La Riserva Naturale, che ha un estensione di 586 ettari, è stata istituita con Decreto dell'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente n.970/91 ed è gestita dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana che l'ha salvata da uno stato d'incuria e abbandono e l'ha resa fruibile al pubblico. Il territorio è caratterizzato dalle biodiversità e al suo interno coesistono micromondi naturali dal fascino unico e diverse specie endemiche esclusive di questo territorio, tanto che l'area è stata inserita nella lista dei Sic (Siti d'importanza comunitaria).

La Riserva può essere visitata ogni giorno a piedi attraverso i percorsi segnati nelle apposite tabelle. Si può accedere all'area mediante tre punti: il primo sul versante orientale attraverso una proprietà privata accanto alla Torre di Mondello; il secondo dal versante opposto sempre attraverso una stradella privata che inizia in contrada Barcarella di Sferracavallo; il terzo sul versante meridionale, dal quale attraverso una strada comunale che inizia alle spalle di Partanna Mondello e costeggia Pizzo Sella si può arrivare sino a quota 527 m. s.l.m. al cosiddetto Semaforo, interessante costruzione militare di avvistamento.
Proprio sulle cime del monte si trova l'habitat ideale per i piccoli uccelli tra cui le cincie, i fringillidi, il merlo, l'occhiocotto e il colombaccio. Di notte sulle pareti rocciose è possibile avvistare il barbagianni e l'allocco più diffuso tra la vegetazione. Nonostante la forte antropizzazione alla base del monte, vive anche la volpe, il più grosso mammifero predatore superstite in Sicilia. Sul Monte Gallo, si possono osservare molte specie interessanti in transito nelle stagioni di passo come la cicogna bianca, il falco pecchiaiolo, il coloratissimo gruccione ed il cuculo. Di grande interesse sono le numerose specie endemiche o rare quali: Limonio di Palermo (Limonium panormitanum) specie molto rara esclusiva di Capo Gallo e Monte Pellegrino, Allium lehmannii, Centaurea ucria, Scabiosa limonifolia, Brassica rupestris, Hieracium lucidum, Lithodora rosmarifolia ecc. Si possono anche osservare alcune orchidee selvatiche le più interessanti delle quali sono l'Ofride verde-bruna siciliana, l'Ofride verde-bruna palermitana e l'Ofride di Branciforti.

Le zone sommerse
Lo sviluppo costiero della riserva muta dalla bassa costa di Isola delle Femmine fino all'imponente promontorio di Monte Gallo. Gli organismi marini presenti variano in relazione all'idrodinamismo, all'esposizione dei versanti, al grado di illuminazione e alla natura dei substrati. Appena ci si immerge per esempio si nota un marciapiede a vermetidi, una struttura formata da un'infinità di minuscoli molluschi i 'Dendropoma petraeum' la cui presenza indica che le acque sono ancora pulite ed ossigenate. Questi microorganismi difatti, crescono all'interno di tubi calcarei gli uni sugli altri creando un'ampia struttura molto resistente. Le formazioni di marciapiede di maggiori dimensioni si trovano sotto il Faro, attorno all'Isola delle Femmine, e a levante, a Punta Barcarello. E' sorprendente come a poca distanza da Palermo e a ridosso di Mondello siano conservati ambienti così belli e incontaminati dal punto di vista naturalistico. Capo Gallo sul versante a mare è privo di urbanizzazioni e conserva nella sua fascia costiera ambienti rari in tutto il Mediterraneo. Ciò è dovuto all'azione di varie correnti marine che consentono a questi luoghi di godere di acque pulitissime ed ossigenate. Le zone circostanti sono inoltre ricche di massi e cavità dove i colori delle spugne si contrappongono all'arancione delle madrepore e alle ramificazioni del corallo.

Qui nuotano indisturbati branchi di cefali ed esemplari di scorfano di Madeira. Infine, la presenza di plancton e di correnti marine attira pesci pelagici come le ricciole, i palamiti e i pesci luna. Nel perimetro dell'area marina protetta sono racchiusi altri ambienti spettacolari come i prati di Posidonia o di Cymodocea. Sono questi gli ambienti dove è più facile incontrare, oltre a seppie e polpi, grandi esemplari di nacchera, una specie protetta simbolo del Mediterraneo. Gli appassionati di immersione possono spingersi ad esplorare luoghi più profondi. A Largo di Punta Barcarello tra i 25 e i 35 metri si possono ammirare alcuni terrazzamenti dai quali si può ricostruire il livello delle acque nel corso dei millenni. Circa 20.000 anni fa difatti, le acque del pianeta si erano abbassate di circa 120 metri per poi risalire ma con varie pause. Sul fondo sono leggibili le linee che corrispondono a queste pause e che oggi corrispondono a profondità molto diverse popolate da organismi differenti. Qui si trovano fondamentalmente alghe rosse calcareee di tipo corallino su cui spiccano le ramificazioni delle eunicelle bianche. Vivono il riccio diadema, l'aragosta e grosse cernie che si sono fatte le tane negli anfratti della roccia. Fuori dalla zona A, all'esterno di Isola delle Femmine è possibile immergersi nei cosiddetti Canyon, fratture tra i 28 e i 40 metri ricoperti da un rigoglioso coralligeno sovrastate da alcune ramificazioni delle eunicelle bianche, mentre sulla parete le gorgonie rosse e qualche ventaglio rosso e giallo offrono uno scenario spettacolare. È sicuramente l'ambiente più colorato di tutta l'area marina protetta, dove al rosso delle gorgonie fanno da contraltare sciami di anthias, grossi scorfani, cernie e mustelle. Ancora più in profondità tra Isola delle Femmine e Sferracavallo, su un banco di sabbia, è adagiato il relitto di un Junker 52, inabissatosi il 18 aprile del 1943 nel corso di una battaglia aerea durante il secondo conflitto mondiale.

Le GrotteLa zona di Capo Gallo è ricca di anfratti e piccole grotte, per lo più semisommerse, che si aprono soprattutto lungo la costa Mazzone nel settore di ponente, quello compreso tra il faro e Punta Barcarello. Queste grotte marine modellate attraverso i millenni dal mare, conservano antiche tracce storiche, che possono raccontarci l'evoluzione e le vicende di questi luoghi. Le acque hanno scavato autentiche cavità tipiche del carsismo con grotte, inghiottitoi, cunicoli sia sott'acqua che sulla terra emersa. Tra le grotte più belle ricordiamo la Grotta dell'Olio che si apre a pelo d'acqua, i cui fondali sono ricchi di fauna e vegetazione variopinta e ospitano il relitto di una nave cartaginese con un carico di anfore. La grotta riceve luce da cavità che comunicano con l'esterno. La visita della grotta si completa con le zone esterne, dove una ricca copertura di alghe avvolge i massi tra prati di posidonia. All'esterno della grotta sulla destra dell'imboccatura si sviluppano una serie di tunnel con roccia colorata dalle alghe rosse e dalle spugne che vi crescono addosso. Procedendo sulla parete a sinistra invece, s'incontra un enorme arco di roccia con la volta tappezzata da madrepore arancione. Nella zona della Marinella si trova la Fossa del Gallo a 130 m s.l.m il cui accesso rimane riparato da enormi massi che ne occludono la visione dall'esterno e ne rendono difficoltosa la perlustrazione. Le pareti della Grotta Regina, dritte e lisce, conservano centinaia di iscrizioni e di disegni di periodi diversi, che rappresentano figure umane e animali fra le quali si distinguono un guerriero punico, un orso, un cavallo, un braccio avvinghiato da un serpente, tre navi, preghiere e firme. Le iscrizioni in lingua punica, neopunica, libica, sono state tradotte da esperti e hanno confermato la presenza di gruppi fenicio-punici di commercianti. Un disegno sulla parete sinistra della grotta raffigura un'antica nave da guerra cartaginese. La Grotta Impisu, che si apre a Sferracavallo in località Schillaci ha rivelato tracce di presenza umana di epoche preistoriche. Sono emersi anche resti di grandi animali vissuti (ed estinti) nel periodo del Quaternario, come il cervo e l'ippopotamo. Esempio tipico del carsismo è la Grotta della Mazzara, situata nella zona A della Riserva dove non possono essere fatte immersioni. Si tratta di un lungo cunicolo in cui la luce degrada dolcemente verso l'interno sino ad arrivare ad una zona completamente buia. Se si usano le torce è possibile ammirare una spiaggetta di ciottoli, mentre nella zona anteriore alcune fessure fanno filtrare la luce.


da http://www.siciliamare.eu/itinerari/Riserva%20naturale.htm

L'oasi del simeto

L'Oasi del Simeto
Un'area naturalistica



simeto1.jpg (9450 byte)Il territorio delimitato come riserva naturale orientata Oasi del Simeto è ciò che rimane di un antico e vasto ecosistema palustre che si estendeva a sud della città di Catania e che comprendeva diverse zone umide, tra le quali quella di Agnone, Valsavoia e di Pantano di Catania. Gli ambienti sopravvissuti all'antropizzazione di quest'area, ricadenti nella riserva sono: il lago Gornalunga, formato dall'omonimo affluente del Simeto; il lago Gurnazza, arginato dalle dune costiere; le Salatelle, vasti acquitrini salmastri, formati dalla capillarità della zona costiera; la nuova foce, ritagliata dopo la grande alluvione del 1951 e attraversata dal ponte Primosole; la vecchia asta fociale, a forma di falce, ora isolata ed alimentata dai canali Buttaceto ed Jungetto.
Alcuni pionieri, il più autorevole dei quali l'ing.Angelo Priolo, oggi decano degli ornitologi ltaliani, cominciarono nei primi anni quaranta ad osservare e registrare dati sulle presenze faunistiche nell'area. I dati raccolti, anche negli anni seguenti, evidenziarono la ricchezza del patrimonio faunistico, ma anche il lento declinare della varietà delle specie presenti. Nei primi anni '70 cominciò a diffonedersi la consapevolezza della necessità di salvare l'area dall'aggressione dell'abusivismo edilizio e di proteggere la fauna e la flora. Scesero in campo diverse associazioni ambientalistiche ed anche i sindacati. Questo movimento, che vedeva in prima linea la signora Wendy Hennessy Mazza della Lipu, ottenne nel 1975 la costituzione di un'oasi di protezione faunistica con un decreto dell'assessore dell'Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana. Negli anni successivi continuarono le battaglie dei protezionisti (Cgil, Cisl ed Uil inserirono nel Progetto Catania l'obiettivo di un concorso internazionale d'idee per realizzare il parco territoriale dell'Oasi del Simeto, previsto dal PRG, concorso poi espletato, ma senza alcun esito pratico) anche per ottenere la demolizione delle costruzioni abusive. Solo nel 1984 viene istituita la Riserva Naturale Orientata dell'Oasi del Simeto e nel 1989 arriva la demolizione di 54 abitazioni abusive.
Oggi la tendenza edificatoria, dopo gli interventi repressivi e l'attività informativa ed educativa, sembra essersi arrestata, anche se continua una certa pressione antropica, soprattutto in riferimento all'uso incontrollato della zona costiera sabbiosa. Per invertire decisamente la tendenza occorrerebbe una disciplina rigorosa a tutela delle zone naturali più fragili.

domenica 24 febbraio 2013

La leggenda del gigante Tifeo

Tifeo, nella mitologia greca, era un mostro nemico di Zeus. Figlio di Gaia aveva tre teste di cui una sola era umana, una coda e delle ali. Quello che si dice un brutto soggetto!Venne gettato dentro l'Etna e da qui continua ad emettere cenere e fumi.
Per certi aspetti Tifeo è il simbolo della ribellione. Già, un cattivo che per vendetta si scaglia contro il potente di quegli anni, Zeus appunto.
Come spesso accade ai ribelli il nostro amico gigante viene sconfitto, ma non muore. Infatti il suo respiro diventa vulcano.
Narra la leggenda che la Sicilia è sorretta da un gigante: questo gigante si chiama Tifeo, che osò impadronirsi della sede del cielo e per questo venne condannato a questo supplizio. Sopra la sua mano destra sta Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) gli comprime le gambe, e sopra la testa grava l'Etna.
Dal fondo supino, Tifeo inferocito proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso si sforza di smuovere il peso e di scrollarsi di dosso le città e le grandi montagne: allora la terra trema.