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Castelli
Siciliani
I manieri della paura, storia di
miti e di baroni
Il siciliano ha sviluppato nei
confronti di mura, torri e merli una diffidenza-indifferenza che deriva
probabilmente da un timore atavico derivante anche dall´uso carcerario di molti
castelli, e il fatto che fossero luogo di esecuzioni capitali. Il castello ha
rappresentato il luogo dell´oppressione, il simbolo del potere baronale e del
possesso della terra che impone il lavoro bestiale e lo ripaga con pura
sopravvivenza Non è un caso se spesso sono stati presi di mira durante
insurrezioni popolari, dalle rivolte dei Vespri nel 1282, come accadde a quello
di Vicari, fino all´insurrezione contro la leva obbligatoria durante il governo
Badoglio, a Naro, dove il maniero, sede delle carceri, fu assalito.
Ma adesso i siciliani possono ammirare senza timore
l´imponenza quasi sovrannaturale dei castelli dell´entroterra, come quello di
Sperlinga, incastonato nella roccia, denso di mistero sulle sue origini
che risalgono almeno al 1081. Scavata nei monti Nebrodi dell´Ennese la fortezza
è rimasta nella storia per aver salvato gli Angioini che lì si sono rifugiati
durante la rivolta dei Vespri nel 1282.
Un grande costruttore di castelli in
Sicilia è stato Federico II che quando arriva nell´Isola, nel 1220, dà il via
alla realizzazione di decine di «dimore regie» con la funzione, anche simbolica,
di controllare l´aristocrazia feudale che a sua volta intraprende in questi anni
la costruzione di torri fortificate. Ma sarà sotto il regno della debole casa
d´Aragona, nel XIII secolo, che le grandi famiglie nobiliari prendono sempre più
il controllo del territorio siciliano e costruiscono le loro fortezze: sono le
famiglie Ventimiglia, Chiaramonte (rivali eterni tra loro), ma anche gli
Alagona, i Peralta e i Palizzi.
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Queste famiglie fin dal Trecento nei
loro territori esercitavano il potere assoluto, dall´altezza dei loro manieri
guardavano il lavoro faticoso nei campi di migliaia di contadini che attorno al
castello costruivano le loro case e davano vita ad agglomerati diventati nel
tempo comunità indipendenti. Dopo le famiglie dell´aristocrazia feudale è la
volta dei baroni. Completamente abbandonati dopo il 1600 i manieri fortificati
diventano alla fine del Settecento e nell´Ottocento simbolo di un altro potere
oppressivo, trasformandosi in sedi delle carceri borboniche. Poi diventano il
simbolo dei latifondisti che qui, imitando i nobili, mettono dimora.
Molti castelli sono giunti a noi quasi intatti, nonostante
siano stati protagonisti spesso di sanguinose battaglie, come il maniero di
Caccamo, il più grande della Sicilia e inespugnato, dove hanno trovato
rifugio prima il ribelle Matteo Bonello, che nel 1160 guidò la rivolta dei
baroni contro la Corona, e poi la famiglia Chiaramonte (che l´ha ampliato nel
1300) che qui resistette nel 1302 all´ennesimo assedio angioino. Tra i meglio
conservati d´Italia, si erge sul monte San Calogero e domina la campagna
dell´interno palermitano. Qui, secondo la leggenda, il fantasma di una suora
triste continua ad aggirarsi nelle notti di luna piena con un melograno tra le
mani. Se chi l´ha incontra riesce a mangiare il frutto senza farne cadere a
terra nemmeno un chicco sarà ricco e felice, se non ce la farà sarà per sempre
legato al fantasma. Il mito nasce da una storia popolare di una bella
principessa che si innamora di un giovane soldato. Il re quando scopre i due
innamorati fa immediatamente uccidere il soldato ma per ripicca la ragazza
rifiuta di prendere un altro sposo e il padre la costringe a farsi suora. La
giovane muore stroncata dal dolore, ma il suo fantasma continua a cercare pace
fra le segrete mura. Altro castello che nella sua immagine imponente simboleggia
per sempre il potere dei baroni feudali è quello di Mussomeli, grandiosa
opera architettonica che si fonda nella roccia con una tale armonia da sembrare
essere opera della natura e non dell´uomo. Il castello si innalza solitario
sulla campagna di Caltanissetta, anche questo fatto erigere da un componente
della famiglia Chiaramonte, Manfredi III. Il suo nome vuol dire «città delle
donne»: si narra che diversi fantasmi si aggirino per le sue stanze, a
cominciare da quello di un soldato innamorato della figlia di Manfredi. Pazzo
d´amore viene scoperto dallo stesso Manfredi che lo chiude in una torre per
farlo morire di stenti: il soldato preferisce buttarsi giù. Altra leggenda narra
della truculenta morte di un gruppo di nobili attirati con l´inganno nel
castello. Ma le storie di fantasmi e di amori tragici nei manieri di Sicilia
si intrecciano. A quanto pare in quello di Mussomeli si aggira anche il fantasma
della baronessa di Carini, altra costruzione medievale simbolo dell´Isola.
Tra le rocce fortificate di Mussomeli trova rifugio Cesare Lanza, in
preda al rimorso per aver assassinato la figlia innamorata, la baronessa. La
giovane, dicono, si aggira con vestiti del Cinquecento per quelle stanze. Un di
queste si chiama delle «tre donne» e anche qui storia e leggenda si confondono:
Manfredi vi avrebbe rinchiuso le sue tre sorelle durante la partenza per una
delle tante guerre del tempo e al suo ritorno le trovò morte. Sangue, amori
passioni violente e, immancabile, il sacro.
Castello di
Carini - “Carinis dominata da una fortezza di recente costruzione”: così
Al-Idrisi (1099-1166 ), scrittore arabo di scienze naturali, mediocre poeta, ma
soprattutto geografo, scriveva nel suo libro, rimasto famoso con il nome di
“Kitab Rugiar” ( Il Libro di Ruggero ), terminato nel 1154, ossia nell’anno
stesso in cui Ruggero II moriva. L’edificio viene eretto tra la fine dell’XI e
l’inizio del XII secolo, su una costruzione precedente sicuramente araba, ad
opera del primo feudatario normanno Rodolfo Bonello, guerriero al seguito del
conte Ruggiero. Dagli scavi condotti nel corso del recente restauro, sia nel
lato est che in quello nord, sono affiorate strutture murarie di epoche
precedenti a quella normanna. Nel 1283, sotto il regno di Costanza D’Aragona, il
Castello passa alla famiglia Abate che lo detiene per circa un secolo. Questa
famiglia comincia a trasformare la struttura difensiva in ambienti quasi
residenziali. Nel XIV secolo il feudo di Carini passa alla famiglia dei
Chiaramonte. E’ nel 1397, che a Catania Re Martino il giovane, in cambio dei
servigi resi, concede ad Ubertino La Grua di Palermo, Maestro Razionale del
Regno, per se e per i suoi eredi successori la terra di Carini con tutti i suoi
diritti e pertinenze. Due atti di notai attestano che nel Castello furono fatti
restauri: uno, nel 1484, l’altro nel 1487, ad opera del maestro Masio de
Jammanco, da Noto, cittadino di Palermo. Questi si obbligava col magnifico
Guglielmo Talamanca, come tutore di D. Giovanni Vincenzo La Grua, barone di
Carini di “dimorare a Carini per eseguire delle fabbriche nel Castello della
stessa università ed altrove, per un anno continuo e completo, dal 2 ottobre in
poi, per 11 onze, e mangiare e dormire per tutto il tempo”. Per raggiungere il
Castello basta percorrere il Corso Umberto I e salire i gradini della Badia. Si
hanno così, davanti, la porta e le possenti mura medievali dell’ XI e XII secolo
che un tempo tracciavano l’antico borgo.
Cavalieri e religione si inseguono tra le mura dei castelli: in
quello edificato dalla famiglia rivale dei Chiaramonte, i Ventimiglia, a
Castelbuono è ancora oggi custodito il teschio di Sant´Anna, santuario
venerato in tutte le Madonie. Nel castello di Pietraperzia si nascondono
graffiti misteriosi recentemente rinvenuti. Sono disegni «magici» che ritraggono
soggetti africani e orientali in scene di caccia, forche e patiboli.
CASTELLO DI CEFALA' Del Castello, del XIII sec., resta solo una robusta torre
quadrangolare e ruderi delle mura di cinta.
Costituiva in origine un baluardo
difensivo sull'asse di collegamento rappresentato dalla strada
Palermo-Agrigento, per divenire nei secoli successivi deposito di granaglie e
infine nel XVIII sec. residenza nobiliare
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