Chi volesse ammirare una città con le sue case “di pietra dorata” - lavoro
paziente di scalpellini oramai scomparsi - può lasciare la statale 113, che da
Messina porta verso Palermo, ed affrontare i tornanti della statale 117. Si
raggiungerà Mistretta, uno dei centri storici meglio conservati della Provincia
di Messina. E’ la testimonianza di una vivacità culturale, politica ed economica
che ha prodotto segni tangibili nei suoi monumenti. Le note storiche ricordano
che la città appartenne quasi sempre alla corona, e pertanto fu sottratta al
vassallaggio feudale, fin quando Filippo IV di Spagna, per sostenere le sue
spese militari, decise di vendere la città ad un tal Gregorio Castelli, conte di
Gagliano, per la somma di 80.000 scudi. Era l’anno 1632 , che nella storia di
Mistretta segna un punto nodale. I cittadini uniti decisero di sostenere
l’ingente sforzo economico di riscattare la città. Rimangono memorabili le
parole del consigliere Giuseppe Valenti, che nella seduta di votazione esclamò:
«Bisogna procurare il prestito a qualunque patto perché devesi stimare la liberà
come la propria salute».
L’animo patriottico degli abitanti di Mistretta
è nuovamente testimoniato durante la rivoluzione antiborbonica, che porterà
all’unità italiana. La città fu, dopo Palermo, la prima che insorse, inalberando
la bandiera nazionale, allestita clandestinamente, sulla torre del Castello, la
sera dell’otto aprile 1860. Questo Castello è stato il fulcro degli avvenimenti
storici che hanno interessato l’esistenza di Mistretta; venne numerose volte
distrutto e ricostruito, per essere infine devastato definitivamente da una
frana. E’ proprio ai piedi del Castello che si è accentrato Il primo nucleo
dell’abitato, sorto in epoca prenormanna, arroccato al costone roccioso che
emerge sui declivi della valle, e preannuncia le alte e boscose cime dei
Nebrodi.
I toponimi dei quartieri richiamano alla memoria le particolari
vicende dei luoghi o degli edifici, generalmente di culto, che ne hanno
costituito il punto emergente, come i quartieri di S. Vincenzo, del Carmine,
della Madre Rivinusa, del Roccazzo, di S. Nicolò, che si distendono ai piedi del
Castello. Il quartiere Purgatorio, ad esempio, prende il nome da una chiesa
dedicata alle Anime Purganti. Di fronte vi era la chiesa di S. Antonio Abate,
fondata in epoca normanna. Alle sue spalle, quello che un tempo era il quartiere
arabo (Rabah). Il tratto di Mistretta circoscritto fra via Libertà, piazza
Vittorio Veneto e piazza Dogali, è il "cuore" della città, comprendendo la
Chiesa Madre dedicata a Santa Lucia (edificio esistente già nel secolo XII e
completato nel Rinascimento), e le chiese di S. Sebastiano e S. Francesco.
Il quartiere S. Caterina, intitolato alla martire alessandrina, annovera
diversi rioni: "A Nivera", perché durante le nevicate invernali vi si
raccoglieva la neve gelata da mettere in vendita; "L’acqua ramata", per l’acqua
ramosa che sgorga dalle sue fontane; "U risittaculu", sede dell’acquedotto
comunale; "A maredde", ovvero la strada che porta alla "Santuzza", ossia la
chiesetta dedicata appunto “a Maria”. In questo quartiere di S. Caterina, si
ammirano palazzi a due o tre piani, con portali, balconi e finestre decorati,
dove l’occhio attento può avvertire il passaggio dalle forme barocche allo stile
neoclassico. Sono i palazzi della nuova urbanizzazione che si rafforza nel
Sei-Settecento e si consolida nell’Ottocento con il quartiere Saddio, che con i
suoi dodici palazzi testimonia l’elevato reddito dei residenti appartenenti
all’alta borghesia.
Dai quartieri più arroccati, quindi, la città si
espande nei luoghi più accessibili. Il tessuto urbano si articola in ampie vie
rettilinee. Le strade principali divengono acciottolate; due fasce di basolato
rendono più agevole e spedito il transito dei carri che trasportano le merci per
le fiere che si tengono fuori dalla porta S. Caterina. Nel quartiere di S.
Biagio, troviamo "U munte" e "U palo. I toponimi ricordano "u munte" dei Pegni e
"u palo" al quale in epoca saracena, si impiccavano i condannati a morte. Nel
quartiere di S. Giovanni la presenza della via Ughetti, ossia "U ghetto", fa
ipotizzare la presenza di una comunità ebraica, la stessa tipologia delle
abitazioni sembra confermare tale tesi. Nel quartiere di S. Giuseppe è possibile
trovare il cosiddetto "ospedale vecchio” opera cinquecentesca del benefico
finanziatore Filippo Pizzuto. Gli ospedali fornivano un prezioso servizio
sociale, impegnati a curare malanni e pestilenze. La vita materiale emerge nel
rione Petra Pilata (pietra viva) del quartiere del SS. Rosario, per la presenza
delle pietre del lavatoio utilizzate dalle donne di casa sino alla fine
dell’Ottocento. Come dire: la città dell’arte e del quotidiano.
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