ARCIDIOCESI
DI PALERMO
LETTERA
DELL'ARCIVESCOVO
NEL IV CENTENARIO DELLA MORTE DEL SANTO
Di S.
Benedetto da S. Fratello, detto anche «il Moro», noi abbiamo quasi perso la
memoria, anche se il suo corpo è custodito in Palermo, nella Chiesa dei Frati
Minori di S. Maria di Gesù. Bene hanno fatto, perciò, i PP. Francescani, in
quest'anno in cui cade il quarto centenario della morte del Santo, a farsi
promotori di un programma di celebrazioni che, a partire dal prossimo aprile, si
articoleranno in varie manifestazioni fino al 1990 per mettere in evidenza la
realtà prodigiosa e la personalità del loro santo confratello, nei tratti più
caratteristici della sua vita e nel messaggio che da essa giunge, pur dopo tanta
di-stanza di tempo, alle nostre generazioni.
I suoi umili
natali
Benedetto nacque nel 1526 a S. Fratello (Messina); è quindi
figlio di questa nostra terra sicula, ma i suoi genitori, Cristoforo e Diana,
provenivano da lontano, essendovi stati condotti, in condizione di schiavitù
dall'Africa, forse dall'Etiopia.
La
Sicilia era allora un'appendice del Regno di Aragona, con a capo un Viceré
strettamente legato alla Corona spagnola. Nell'epoca alla quale ci riferiamo
regnava Carlo V, del cui trionfale ingresso a Palermo, nel 1535, rimane come
ricordo la Porta Nuova.
Le
condizioni del popolo siciliano, se si escludono le classi dominanti, era
veramente misera; analfabetismo, indigenza, insicurezza dominavano ed era
diffusa anche la presenza di schiavi che, catturati sulle coste dell'Africa,
venivano venduti sia in Spagna, sia nei possedimenti spagnoli compresa la
Sicilia.
Dovette essere in questo periodo che i genitori di Benedetto
furono acquistati da un ricco signore di S. Fratello.
A tale
origine africana e al colore della sua pelle si deve l'appellativo «il Moro» con
cui venne indicato sia da ragazzo, sia poi da grande, ed è anche questo il
motivo per cui si diffusero, in seguito, la devozione ed il culto verso di lui
in varie nazioni d'Europa, Spagna e Portogallo, del Sud America, l'Argentina, il
Perù, il Venezuela, il Messico, il Brasile, sia anche negli Stati Uniti,
divenendo dappertutto il protettore delle popolazioni di colore, invocato come
S. Benito da Palermo.
Ora
che molti cristiani dell'Africa nera si trovano in mezzo a noi, venuti per
cercare lavoro, può essere per loro motivo di particolare interesse e di
incoraggiamento scoprire nella nostra città una così significativa e storica
espressione della loro presenza: un Santo addirittura, le cui spoglie qui da
secoli custodite, vengono ora fatte oggetto di rinnovata venerazione.
Benedetto ricevette una buona educazione cristiana sia dai
genitori che dal padrone, un certo Manasseri, che lo volle libero, fin dalla
nascita e gli procurò il lavoro impegnandolo a custodire gli animali nei suoi
campi.
Ben
presto però il giovane pastore si sentì attratto ad una vita di raccoglimento e
di preghiera; curò come potè la sua istruzione religiosa; partecipava con
frequenza alla celebrazione eucaristica ricevendo la S. Comunione con grande
fervore; nutriva una grande devozione verso il Crocifisso, mentre andava
crescendo in lui il desiderio di abbandonare quel poco che aveva per consacrarsi
interamente al Signore in piena povertà.
La
scelta eremitica
L’occasione gli venne data dall’incontro con un certo Girolamo
Lanza che, da nobile e ricco che era, aveva lasciato la famiglia e le ricchezze,
vivendo con spirito francescano da eremita in Santa Domenica, non lontano da S.
Fratello, nei pressi di Caronia. tale scelta di vita praticata dai cristiani fin
dai primi secoli (si pensi a S. Antonio e a tutta la letteratura relativa ai
Padri del deserto) era ancora in vigore in alcuni luoghi anche in Sicilia:
eremiti erano stati S. Calogero, S. Cono, S. Corrado, S. Guglielmo, S. Nicolò
Politi e tanti altri di cui non sempre si è serbata distinta memoria.
Benedetto si accompagnò a questo Girolamo abbracciando un
austero regime di vita che all'esercizio dei consigli evangelici - castità,
povertà e obbedienza - aggiungeva un quarto voto, quello cioè di osservare per
tutto l'anno un regime di vita quaresimale di digiuni, di preghiere e di
penitenze.
Fin da
allora si manifestarono le sue singolari doti di uomo di Dio. Per quella
intuizione del soprannaturale che spesso i fedeli hanno, molti di quel contado
compresero che Frà Benedetto era uno spirito eletto che viveva in particolare
comunione e comunicazione col Signore. E per questo si recavano da lui per
raccomandarsi alle sue preghiere, per chiedere consiglio, per esserne consolati
nelle immancabili tribolazioni della vita.
La
frequenza di tali visite, metteva in crisi la stessa scelta di solitudine
propria degli eremiti, e per questo il Lanza si indusse ad abbandonare quel
luogo per trasferirsi con i suoi compagni in altri siti:
Platanella, nei pressi di Agrigento; Mancusa, tra Partinico e
Carini; Marineo, presso la Madonna della Dayna... ma poi finì per stabilirsi sul
Monte Pellegrino, presso Palermo, così chiamato proprio a motivo dei tanti
«pellegrini» o eremiti che vi abitavano.
Sul Monte
Pellegrino
Era
quello il luogo dove anche S. Rosalia era vissuta ai suoi tempi, cioè quattro
secoli prima, come eremita, ed il suo corpo, ancora non scoperto (lo sarà poi
nel 1625), si trovava sepolto in una di quelle grotte.
In
quei luoghi rimaneva ancora viva la memoria della santa fanciulla palermitana
che nell'epoca normanna aveva lasciato gli agi della Corte per dedicarsi a Dio,
vivendo in solitudine «povera di spirito, purissima di cuore». Anche lei era
stata prima in altri luoghi, ma poi era venuta a rifugiarsi sul Monte
Pellegrino, da dove poteva mirare ogni giorno la sua città di Palermo e pregare
per i suoi bisogni che, allora come ora, non dovevano essere né pochi né agevoli
da soddisfare.
Da
quel monte che, alto e armonioso si leva verso il cielo, circondato dal mare,
Benedetto poteva anch'egli contemplare Palermo e, per quanto non fosse la sua
patria, cominciò così ad amarla ed a pregare per i suoi abitanti i quali,
peraltro, non furono insensibili all'edificante premura di lui e di quegli
austeri penitenti. Era questo, del resto, il loro apostolato: splendere per le
loro virtuose azioni come città posta sul monte, come fiaccole sul candelabro;
essere lievito, essere profumo... «Come potrebbe dirsi cristiano chi non è così?
- si chiede S. Giovanni Crisostomo. - E se il lievito mescolato alla farina non
porterà tutto a fermentazione, è davvero lievito? E che dire di un profumo che
non investa quanti si accostano? Lo si chiamerà ancora profumo?...». questa
salutare influenza spirituale da parte di quegli eremiti e questo richiamo erano
vivissimi.
Perciò
la gente accorreva per raccomandarsi alle loro preghiere, ed in modo particolare
per visitare Frà Benedetto, la cui fama di austerità e di saggezza sempre più
spargeva da farlo già chiamare «il santo Moro» tratto singolare questo che
dimostra, ad un tempo, tanto la sua capacità ed amabilità nel farsi accettare ed
accostare da tutti, quanto anche l’apertura e la mancanza di pregiudizi da parte
della gente nei suoi riguardi, sia per il colore della pelle che per la
discendenza.
Morto
dopo qualche tempo Fra Girolamo Lanza che era stato l'ispiratore di quella
esperienza, tutti gli eremiti che vivevano nella zona decisero che solo
Benedetto era degno di essere eletto loro Superiore e per quanto egli cercasse
di esimersi da tale incarico, adducendo la sua insufficiente cultura e la sua
indegnità, pure, con insistenza fu indotto ad accettare e guidare i confratelli
nella singolare e non sempre agevole condizione di vivere nella solitudine ma di
sottostare ad alcune comuni norme di comportamento.
Una ubbidienza che
costa
Così
erano passati 17 anni di vita eremitica durante i quali Benedetto, esercitandosi
nelle virtù religiose, nel distacco di sé, nello spirito di sacrificio e di
ubbidienza, si era reso capace di aderire perfettamente alla volontà di Dio,
qualunque essa fosse, una volta che gli si fosse manifestata attraverso uno dei
suoi autorevoli canali.
L'occasione venne quando l'esperienza di vita solitaria di
questi eremiti, affiliati ai Francescani, già permessa dal Papa Giulio III nel
1550, diede in appresso a Roma motivo di un ripensamento, per cui nel 1562 Pio
IV, per mezzo di una lettera del Card. Rodolfo Del Carpio, Protettore dei Frati
Minori, emanò una disposizione con la quale veniva proibito il proseguimento di
quella vita eremitica e si prescriveva a quanti la praticavano di ritirarsi in
un Ordine Regolare Francescano, che poteva essere o quello dei Frati Minori o
quello dei Cappuccini. Cessando di essere eremiti ed entrando in uno di questi
Ordini Regolari, vi sarebbero stati accolti come veri e propri Religiosi,
sottoponendosi ai legittimi Superiori.
Fu
esemplare la condotta degli interessati al provvedimento; essi dimostrarono di
avere acquisito una buona formazione spirituale ubbidendo prontamente, pur col
rammarico di dovere interrompere quella vita che avevano vissuta come una
particolare ed ardua vocazione. Ma certamente il merito da essi acquistato per
avere ubbidito non fu inferiore a quello che avrebbero conseguito se tale
sacrificio non fosse stato loro richiesto.
Forse
anche oggi noi dovremmo essere capaci di percepire tali equivalenze, non
rimanendo così attaccati a personali giudizi o preferenze e così resistenti a
norme che saggiamente disciplinano i diversi stati di vita cristiana e
l'esercizio delle diverse attività e compiti dei fedeli nella Chiesa.
Benedetto fu alquanto incerto, dapprima, sulla scelta da fare e
volle raccogliersi in preghiera per chiedere alla Vergine Santa, di cui era
devotissimo, quale decisione dovesse prendere. Scendendo dal Monte Pellegrino,
venne in Cattedrale, in questa nostra Cattedrale palermitana, comprendendo che
in essa avrebbe ricevuto i lumi desiderati. Ed infatti, dopo essersi fermato a
lungo in preghiera davanti all'altare della Madonna, percepì, per una interiore
illuminazione, che la sua scelta doveva cadere nell'Ordine dei Frati Minori, e
fu in seguito a ciò che con tutta umiltà si recò al Convento di S. Maria di
Gesù, chiedendo di esservi accettato come fratello laico.
A S. Maria di
Gesù
Il
Convento era stato fondato nel 1426 dal Beato Matteo da Agrigento ed era noto
per l’autenticità della vita francescana che vi si conduceva. L’umiltà, la
semplicità, la povertà, la castigatezza dei costumi, lo spirito di penitenza, la
fervorosa preghiera, ma anche il quotidiano contatto con il popolo ed in
particolare con i più deboli e bisognosi, erano i tratti che distinguevano la
Comunità della quale Fra Benedetto venne a fare parte.
Ma,
come altrove era accaduto, anche qui la sua presenza finì per apparire come
quella di un Religioso particolarmente segnato da singolari doni spirituali. Per
questo impegnato, all’inizio, nell’umile ufficio di cuoco, il suo spirito di
sacrificio e la sua soprannaturale carità lo manifestarono come un autentico «uomo di Dio» ed a lui si cominciò ad
accorrere dalla città. Anche se ormai dispensato dal quarto voto del perenne
digiuno quaresimale, egli tuttavia ne continuava l'esercizio tanto più motivato,
insieme ad altre penitenze, quanto maggiore era il concorso dei fedeli presso di
lui e il ricorso alle sue preghiere.
Si
realizzava in lui la verità di quello che Maria aveva cantato nel Magnificat,
che il Signore cioè, «ha rovesciato i
potenti dai troni, ha innalzato gli umili». Frà Benedetto è proprio uno di
questi «indigenti sollevati dalla
polvere... rialzati dall'immondizia...». (cfr. Ps. 112), che vengono
preferiti ai potenti della terra e da essi, anzi, riveriti e consultati per la
loro saggezza nel giudicare e prudenza nel consigliare.
Nobili
palermitani, Prelati ed anche il Viceré Marcantonio Colonna venivano a trovarlo
nel Convento di Santa Maria per bisogni spirituali e materiali che li
affliggevano e così tanti altri del popolo, di cui parlano le testimonianze poi
raccolte nei processi di beatificazione e che attestano anche i numerosi prodigi
attribuiti all'intercessione del «santo
Moro» sia in vita che dopo la sua morte. È degno di nota rilevare come Frà
Benedetto non si valse mai delle sue conoscenze di persone influenti per
accettare o sollecitare favori; anzi, in più di una circostanza, non gradì e non
permise che si usassero riguardi a membri del Convento e della sua stessa
famiglia che avevano di che render conto alla giustizia. Un esempio, questo, che
a noi dice molto, richiamandoci, in tempi in cui ne abbiamo bisogno, al rispetto
degli ordinamenti esistenti e alla esclusione di ogni indebita ingerenza ed
influenza per determinare in senso favorevole gli avvenimenti in corso.
Superiore del
Convento
Di
uguale reputazione e venerazione egli godette presso i confratelli del Convento,
che edificava non solo per il suo esempio di osservanza religiosa, ma anche per
i suoi discorsi e ragionamenti che lasciavano trasparire una dottrina non certo
appresa dai libri e che lasciava sorpresi anche i Maestri di Teologia.
«Io so che Benedetto non sapeva né leggere né
scrivere – deposero al processo alcuni testimoni – però con tutto questo faceva
molti sermoni ai frati e particolarmente ai Novizi, spiegando ad essi molti
passi e difficoltà della Sacra Scrittura, con molta chiarezza ed edificazione
spirituale... soleva spiegare ai Novizi le lezioni della Sacra Scrittura che
erano lette a Mattutino, e in queste lezioni si intratteneva in lunghi discorsi
che sembravano ispirati dallo Spirito Santo».
Dei
Novizi fu anche nominato Maestro, cioè formatore, e svolse così bene l'ufficio
da sembrare che possedesse il dono della scrutazione dei cuori. Nel 1583 pur
essendo frate laico fu anche eletto, come già sul Monte Pellegrino, Guardiano,
cioè Superiore dei Religiosi, molti dei quali erano Sacerdoti, e seppe così bene
guidare con carità e dolcezza tutti i confratelli che molti da altre parti
chiedevano di andare a vivere da lui, cosicché fu costretto ad ampliare
l'edificio, sopraelevando un secondo piano e costruendo un nuovo braccio del
Convento, così come si presenta oggi.
Anche
quando si recò ad Agrigento, dove si svolgeva il Capitolo provinciale dei Frati,
lo precedeva una tal fama di sanità che fu accolto con calorose manifestazioni
di popolo. Eppure, quando terminò il tempo degli uffici per i quali era stato
eletto, tornò con grande naturalezza e semplicità alla sua primitiva mansione di
cuoco, ben sapendo che il valore e il merito del servizio di Dio non si misurano
dall’eccellenza dei compiti che vengono affidati, ma dall’amore e dalla fedeltà
con cui vengono esercitati.
Nel
Convento di S. Maria di Gesù, tranne un periodo di tre anni che passò in quello
di S. Anna nei pressi di Giuliana, trascorse tutta la sua vita di Frate Minore,
e lì il suo corpo riposò, deposto in luogo onorifico, dopo qualche anno dalla
pia morte che avvenne il 4 aprile 15 89.
La fama di
santità
La
fama di santità che era stata tanto diffusa durante la sua vita, si accrebbe
dopo la morte. II suo fu un «sepolcro
glorioso» per il continuo accorrere di gente, non solo dalla città di
Palermo, ma da ogni altra parte dell'Isola.
Già
nel 1592, quando fu eseguita la prima traslazione della tomba esterna alla
Sagrestia, il suo corpo fu trovato incorrotto ed odoroso, ed è di quello stesso
anno la prima istanza all'allora Arcivescovo di Palermo, Mons. Diego D'Ahedo,
perché fosse iniziato il processo di beatificazione.
Nel
1611 un'altra traslazione ebbe luogo, dalla Sagrestia nella Chiesa, e di essa si
occuparono tanto il Re di Spagna Filippo III, quanto il Cardinale Gianettino
Doria, Presule palermitano, mentre vive istanze al Papa Gregorio XV venivano
rivolte negli anni 1621 e 1622 dal successivo Re di Spagna Filippo IV e dal
Viceré di Sicilia, sollecitando la beatificazione del Servo di Dio.
Due
processi apostolici, l'uno redatto in Palermo e l'altro a S. Fratello, vennero
poi rimessi alla S. Congregazione dei Riti intorno al 1627.
È
interessante la_risposta che nel luglio di quell’anno dava Urbano VIII con la
sua lettera ai palermitani, riconoscendo la grande devozione da essi manifestata
per il corpo del Religioso Benedetto da S. Fratello. «La città di Palermo – scrive il Papa –
sembra ammaestrare le altre nazioni di quanta stima si debbano tenere i baluardi
dell’incolumità pubblica e i monumenti della gloria cristiana». Lo facesse
anche adesso!
Assicura poi il processo andrà avanti secondo le norme in
vigore, ed aggiunge l’augurio significativo «che codesta città dia i natali a personaggi
santi, con tanta facilità, con quanta pietà li venera…».
La
municipalità di Palermo – detta allora «il Senato - rompendo gli indugi, si
induceva nel 1652 ad emettere un solenne Decreto con il quale rilevando «che la fama di santità ammirabile del
siciliano Benedetto da S. Fratello si è sparsa oltre i confini di tutta la
città» lo eleggeva e nominava
«particolare intercessore», chiamandolo già, per conto suo, «Beato Patrono» ed ordinando feste che si
celebrassero ogni anno nella Chiesa di S. Maria di Gesù.
La
Canonizzazione
Nel 1713 nuove istanze per la Beatificazione ufficiale
vennero rivolte alla S. Sede sia dal Senato palermitano che dallo stesso
Arcivescovo, Giuseppe Melendez, e così ripresosi il processo si giungeva nel
1743 all'approvazione del culto e nel 1776 al riconoscimento dell'eroicità delle
virtù. Rimaneva la prova dei due richiesti miracoli, verificati i quali, con
Bolla di Papa Pio VII del 23 giugno 18 07, veniva proclamata la
Canonizzazione.
Nel documento, com'è d'uso, venivano indicate le
principali caratteristiche di quella santa vita e ci può servire il notare che
oltre agli abbondanti riferimenti alle virtù religiose praticate, alle
penitenze, all'umiltà, alla prudenza, in particolare rilievo viene messa la sua
fede e devozione eucaristica: «Non
desiderava nient’altro se non considerare e contemplare argomenti celesti e con
ogni scrupolo evitare qualsiasi offesa verso Dio, anche la più piccola. spesso,
quasi ogni giorno, si confessava e si comunicava: lunga era la preparazione al
banchetto divino e più lungo ancora il ringraziamento, dopo averlo
gustato…».
Da questo amore di Dio vien fatto derivare «il suo fervido amore verso il prossimo, del
quale desiderava l’eterna salvezza… Con sollecitudine e senza difficoltà
riceveva tutti quelli che andavano da lui per chiedergli consigli, anche quando
stava male, e a ognuno elargiva opportuni consigli e rimedi. Inoltre spesso
visitava i carcerati e gli infermi, offrendo loro tutti i servizi e le opere di
carità, fornendo anche qualche aiuto
ed esortandoli alla pazienza e a riporre in Dio la loro speranza... Egli quando
fu eletto Superiore del Convento di Palermo volle soprattutto che il portinaio
non respingesse alcun povero».
Le ricorrenti pesti e carestie di quell'epoca fornivano
occasioni particolarmente impellenti di soccorrevole
intervento.
La Canonizzazione avveniva insieme a quelle di S.
Francesco Caracciolo, di S. Angela Merici, di S. Coletta Boilet e di S. Giacinta
Marescotti. La data della memoria di S. Benedetto da S. Fratello veniva fissata
per il 4 aprile, come è ancora oggi.
Può esser interessante anche notare che S. Benedetto «il
Moro» è il primo santo siciliano per il quale si sia svolto un regolare processo
canonico di Beatificazione e Canonizzazione.
Un messaggio per
l'oggi
Quale significato può avere la celebrazione di questo
quarto Centenario? Quella, penso, di mostrare come nonostante il passare del
tempo e il mutare dei tempi, le autentiche qualità e virtù di una persona santa
vengono sempre riconosciute: l'oro rimane oro; l'impiego di una vita vissuta
nella semplicità, nell’amore e con impegno di rendersi sempre utile agli altri
rimane un valore nel quale si può sempre credere e fare
assegnamento.
E ci conforta anche pensare e sapere che, se tante
persone ci sono nel mondo che fanno parlare di sé per le loro malefatte, non
minori di numero sono quelli che nel silenzio operano il bene e non chiederanno
mai nessun riconoscimento per i loro servizi resi
all’umanità.
Questa nostra Palermo ha bisogno di tali richiami, di
tali esempi e di tale speranza. L’augurio di Papa Urbano VIII attende sempre di
compiersi perché alla città non manchino mai uomini di buona volontà che nel
nome di Cristo si facciano sostegno sei deboli e promotori della giustizia e
della pace. I tempi di oggi sono certamente diversi da quelli in cui visse S.
Benedetto, ma taluni problemi materiali e molti spirituali e morali sono sempre
gli stessi e forse anche aggravati. La semplicità del Santo e la sua bontà ci
mostrano la via attraverso la quale è sempre possibile incoraggiare i buoni e
dare sollievo ai sofferenti.
La presenza, poi, di tanti stranieri, dì colore, venuti
dalle diverse ed anche remote regioni della terra a vivere e cercare lavoro
nella nostra patria, ci impegna ad essere così accoglienti come la Sicilia e
Palermo lo furono per Benedetto.
È in tal senso che auspichiamo possa aver luogo, proprio
in una Casa francescana, la progettata apertura di un Centro di prima
accoglienza ed assistenza per lavoratori forestieri, i quali sentano di essere
rispettati, considerati ed amati da questa città, per le cui strade un giorno si
aggirò, venerato e benefico, un umile fraticello nero: Benedetto il
Moro!
Sia lui ad ottenere per tutti le più ampie celesti
benedizioni.
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